Be Resilient
01/06/2020 Autore: Michele Treglia
In un mondo altamente globalizzato e tecnologicamente avanzato, l’epidemia di Coronavirus ha trovato comunque tutti impreparati. Questo caso fa riflettere sulla necessità di adottare modelli agili per far fronte in tempi rapidi a situazioni nuove e inattese.
“Se volete farvi un’idea della resilienza, della solidità e della capacità di adattamento di un business, dovete osservarlo mentre affronta circostanze difficili, non nella realtà rosea della vita di tutti i giorni”(1).
Questo concetto è una delle frasi più sottolineate all’interno del testo “Il Cigno Nero” di Nassim N. Taleb, ma riformulata con concetti di business. La frase risulta essere dolorosa in questo preciso periodo storico, ma senza dubbio ci porta a riflettere sugli impatti reali che l’emergenza in corso avrà sul tessuto aziendale del nostro paese.
Per chi non la conoscesse, la teoria del cigno nero, nata dopo la pubblicazione dell’omonimo libro dell’autore libanese esperto di matematica finanziaria (famoso per le lenti dei suoi occhiali con i quali osserva il mondo), analizza l’impatto di fenomeni con una bassissima probabilità di accadimento (nominati appunto “cigni neri”), facendo comprendere ai lettori che in realtà sono quegli eventi stessi che più di tutti gli altri (cigni bianchi) plasmano le sorti delle persone e delle aziende.
Nello specifico, l’autore spiega quanto - in un contesto estremamente dinamico come quello della società attuale - sia approssimativo utilizzare una curva gaussiana per il calcolo delle probabilità di accadimento di un certo evento (sostenendo che la teoria classica si ad-dice maggiormente a un contesto più statico).
Prima che Taleb affermasse che la pandemia Covid-19 non è esattamente assimilabile ad un cigno nero(2), saremmo stati ragionevolmente portati a pensare che lo fosse. In ogni caso, rimane sottile il confine tra cigno nero e bianco in questo contesto, facendoci comunque comprendere quanto fragile sia l’ecosistema di protezione tecnologica che credevamo facesse da scudo tra noi e le minacce esterne, le quali in passato hanno messo a dura prova la resistenza su scala globale della nostra economia e società.
A questo punto è naturale domandarsi dove sia finita quella sfrenata fiducia verso la tecnologia. Ma è veramente la tecnologia che ci abilita ad essere resilienti? Oppure la dinamicità necessaria a superare gli imprevisti la possiamo trovare in un approccio operativo?
La nostra perfetta incapacità di predire il futuro
Oggi guardandoci intorno non vi è traccia di auto volanti (come fino al secolo scorso ci saremmo invece immaginati). Questo non è certo dovuto al fatto che non siamo in grado di creare le tecnologie necessarie, ma più semplicemente perché si è arrivati a capire l’inutilità di avere un’auto che vola in un contesto come quello odierno.
In sintesi, la nostra incapacità di predire il futuro non è legata all’impossibilità di implementare le innovazioni tecnologiche, ma piuttosto alla consapevolezza dell’inutilità di ciò che era stato previsto.
Nello scorso articolo, pubblicato nel numero 67 di RM News, ci siamo detti quanto sia di migliore accesso, minore rischio e maggiore controllo, adottare un’innovazione già “rodata” in contesti limitrofi (abbiamo parlato infatti di “ricontestualizzazione” dell’innovazione), piuttosto che una frenetica ricerca della disruption “a tutti i costi”.
Il concetto espresso viene oggi purtroppo rafforzato, portandoci a riflettere sulla nostra incapacità di immaginarci gli impatti di scenari imprevedibili (tipo “cigno nero”). Questa nostra consapevolezza circa l’incapacità di predire il futuro viene messa da parte in alcuni contesti come quelli aziendali di lancio di un nuovo prodotto/servizio innovativo. In questi casi di innovazione, risulta difficile ammettere che l’incertezza governa il futuro e che “non possiamo conoscere ciò che non conosciamo”.
Gli impatti di “ciò che non prevediamo” possono essere devastanti sul nostro business (se non altro perché non ne abbiamo mai analizzato le conseguenze) e per questo può aver senso costruire la propria resilienza non esclusivamente sull’utilizzo di tecnologie, ma piuttosto su un approccio nuovo e dinamico alle attività che si svolgono, permettendo così di adeguarsi dinamicamente a contesti in rapido cambiamento.
L’apprendimento convalidato come capacità di adattamento
Il valore del “sapere di non sapere” è un concetto quasi filosofico (tant’è che ad alcuni potrebbe far tornare in mente il concetto di anti-biblioteca di Umberto Eco), ma la verità è che si tratta di uno dei temi chiave che guida le aziende tecnologiche e innovative di più gran-de successo al mondo.
Il concetto - affatto nuovo in molti contesti quali ad esempio lo sviluppo software - si riassume in un approccio alla vita come alle progettualità basato sulle ipotesi (hypothesis driven approach) e sul processo di validazione continua delle ipotesi fatte. In sintesi, si tratta di fare delle assunzioni (come quelle fatte per mettere in piedi un Business Plan), le quali verranno validate o meno dai fatti nel tempo. Fin qui tutto chiaro e facile, sia da capire che da mettere in campo.
Quello che invece è di più difficile comprensione è l’approccio a cicli continui iterati, che prevede un gran numero di iterazioni tra la realtà e i risultati che si stanno producendo nel buio dei nostri laboratori: (i) Ipotesi – (ii) creazione di un prototipo il cui scopo è vali-dare le ipotesi fatte – (iii) test sul campo del prototipo – (iv) misurazione dei risultati ottenuti – (v) apprendimento e riavvio del ciclo.
Una banalità nel mondo del software, dove i framework Agili, conosciuti ormai da anni, hanno rimpiazzato (nei casi più fortunati) un approccio waterfall alla gestione dei progetti. Naturalmente il mondo del software è stato il contesto più fertile dove sviluppare una teoria di questo tipo (approcci agili utilizzati come una soluzione agli “sprechi” tra le righe di codice, dove spesso si sviluppavano software che rispondevano esattamente ai requisiti iniziali, ma non si parlavano affatto con ciò che era il bisogno dell’utente finale).
Adesso che nel mondo del software si conosce il valore di questo approccio, la vera sfida sta nel trasferire ed apprezzare questa mentalità al di fuori del contesto “sviluppo software”(3). Ovunque, dal disegno di un nuovo processo alla scelta dell’approccio da utilizzare per motivare il proprio team. La chiave si trova nel partire dall’assunto che la differenza la potrà fare ciò che ancora non conosciamo.
Contestualizzando ad oggi allora, chiediamoci: quanto una cultura aziendale orientata alla dinamicità, può rendere le nostre aziende più resilienti e plasmabili intorno ad un eventuale imprevisto socio-economico?

Mutuare dal software un approccio agile per difendersi dai cigni neri
Tornando al tema iniziale dell’articolo, l’emergenza sanitaria ci sta facendo comprendere quanto sia di fondamentale importanza essere resilienti e al tempo stesso potersi adattare velocemente ai cambiamenti. La capacità di adattamento di un’azienda unita al tempo impiegato nella trasformazione, sono elementi che alla fine di questa pandemia avranno “premiato” alcune aziende e colpito duramente altre. La ricontestualizzazione dei framework Agili in contesti che vanno al di là dello sviluppo software può realmente abilitare le aziende ad inserire nel proprio tessuto sociale una dinamicità per nulla scontata.
Il tempo medio di ritorno di uno sfortunato fenomeno, come quello che stiamo vivendo a livello mondiale, poteva fino ad una manciata di anni fa essere stimato in decine di anni. Questo ragionamento però, sul quale anche l’autore N. N. Taleb ci invita a riflettere, può non essere più applicato in un contesto estremamente dinamico come quello di oggi. Per questo è plausibile che la domanda più strategica da porsi non sia solo riferita a “quando torneremo a regimi normali”, ma piuttosto “quando e come dovremo fare per essere resilienti verso il prossimo cigno nero”.
Note:
(1) testo originale “Se volete farvi un’idea della personalità, della morale e dell’eleganza di un amico, dovete osservarlo mentre affronta circostanze difficili, non nella realtà rosea della vita di tutti i giorni.”
(2) https://nassimtaleb.org/2020/03/corona-not-black-swan/
(3) illuminante il libro “Fare il doppio nella metà del tempo” di Jeff Sutherland (padre della metodologia Scrum)