La supply chain guarda ad Est
28/08/2020 Autore: Maria Moro
Uno studio di Coface analizza la capacità degli Stati dell'Europa centrale e orientale di rispondere all'esigenza di diversificare le catene di approvvigionamento.
La crisi della globalizzazione amplificata dalla pandemia di Covid-19 potrebbe "giocare a favore" dei paesi dell'Europa orientale in genere e di quelli appartenenti all'Unione Europea in particolare. L'analisi del vantaggio competitivo dei paesi dell'area CEE (Central and East Europe) rispetto ai paesi emergenti extra europei è oggetto di uno studio pubblicato da Coface dal titolo "Post-pandemic production relocation: an opportunity for CEE countries" che evidenzia le ragioni del trend di crescita innescato nell'area già prima del Covid-19.
I paesi dell'area presentano il primo grande vantaggio di trovarsi in prossimità geografica con l'Europa occidentale, di avere manodopera qualificata in molti settori e a costi contenuti, di poter contare su un contesto imprenditoriale stabile, su infrastrutture relativamente valide e di essere orientati all'adozione di sistemi di automazione e robotizzazione per rendere più efficiente la produzione.
Il substrato sociale si mostra preparato ad assecondare una produzione in linea con le aspettative delle imprese occidentali grazie ad un buon livello di digitalizzazione e ad un ampio bacino di risorse umane formate nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Secondo lo studio, il salto di qualità effettivo sarà possibile aumentando ulteriomente gli investimenti nell'automazione e nella digitalizzazione.
La maggiore attenzione che stanno riscuotendo questi paesi è conseguenza della discussione sulla necessità di aumentare la resilienza delle supply chain nata già nei primi mesi di pandemia in Cina e rafforzata una volta che il virus si è allargato ai paesi europei. La Cina non perderà il proprio ruolo di leader nella fornitura di beni intermedi, ma paesi più vicini all'area di produzione europea potrebbero avere un ruolo nella necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento.
L'inclusione di questi paesi nelle catene di approvvigionamento era già cresciuta negli anni scorsi, favorita anche dall'entrata di molti di loro nell'Unione Europea a partire dal 2004. Negli ultimi anni, la regione CEE è cresciuta in qualità nella catena del valore della produzione e potrebbe oggi giocare un ruolo chiave nella revisione post-crisi delle supply chain globali.
NON SOLO COSTI DI LAVORO INFERIORI
Competere con costi del lavoro inferiori rispetto all'Europa occidentale non è però sufficiente e la regione CEE ha già migliorato la propria produttività grazie ad un maggiore impiego dell'automazione e della “robotizzazione”, un processo che è comunque nelle fasi iniziali e per il quale sono necessari ulteriori investimenti.
Risolvendo questo passaggio, i paesi CEE potrebbero avere riscontri positivi non solo nell'industria automobilistica, che è il pilastro della produzione, ma risultare attraenti anche per il trasferimento di industrie di altri settori - come già avviene in alcuni casi - quali apparecchiature elettriche, macchinari, prodotti chimici e metalli.
C'è poi l'ambito dei servizi: l'esperienza del lockdown ha dimostrato che è possibile condurre molte attività da casa e questo significa ampliare la possibilità di delocalizzazione se supportata da un adeguato potenziamento delle infrastrutture digitali. Secondo lo studio di Coface, questa attività potrebbe riguardare in particolare i paesi CEE più sviluppati come gli stati baltici, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Slovacchia e Slovenia.