Venezia, icona di città adattiva
11/06/2021 Autore: Maria Moro
L’attivazione del Mose apre nuove prospettive per la salvaguardia della città proprio nei mesi in cui la pandemia ha sospeso l’attività turistica, prima fonte di reddito in laguna. Di fronte alla minaccia del cambiamento climatico, il futuro deve conciliare le doti storiche di resilienza e la sostenibilità
Nata sulle acque e cresciuta in simbiosi con il mare, da cui ha tratto la sua ricchezza e la sua unicità, Venezia attraversa oggi una crisi dalla quale può riprendersi affidandosi ancora una volta alla sua capacità di essere resiliente.
Da pochi mesi sono operative le barriere mobili del Mose - progetto infinito e molto discusso, ancora in fase di collaudo e alle prese con la liquidazione del Consorzio Venezia Nuova- che hanno letteralmente cambiato la vita alla città e rappresentano una speranza in più per la ripresa del turismo dopo il Covid. Giovanni Cecconi, fondatore e animatore di Wigwam – Venice Resilience Lab, è convinto che Venezia possa diventare un paradigma mondiale della capacità di resilienza, un esempio ancora più virtuoso dei casi olandesi o nordamericani perché più ricco e con alle spalle una tradizione che è nel dna della gente. Il tema che dal 1971 guida l’attività di Rete Wigwam, nell’ambito della quale opera il Venice Resilience Lab, è quello della stretta interazione tra il miglioramento delle condizioni dell’ambiente e della vita per la società, un circolo virtuoso basato sul concetto di “adaptive co-management”, gestione adattiva condivisa dell’ambiente in cui si vive.
Cosa significa il Mose per Venezia?
Qualche numero può rendere bene l’idea. Da quando sono state attivate, in ottobre 2020 sino a gennaio 2021, le paratie alle bocche di porto del Lido, di Malamocco e di Chioggia sono state innalzate 18 volte bloccando ben 21 picchi di marea (tra ottobre 2020 e gennaio 2021) al fine di mantenere il livello delle acque sotto i 90 cm sul medio mare.
Per chi vive a Venezia e a Chioggia significa un cambiamento epocale. Ciò non toglie che ci siano ancora degli importanti temi aperti, che riguardano i lavori così come l’impatto sull’economia. La realizzazione delle conche di navigazione, a Chioggia per i pescherecci e a Malamocco per le grandi navi, è in ritardo di alcuni anni, e ciò comporta il blocco della navigazione quando le paratie sono sollevate; vanno poi completati degli interventi di difesa più localizzati per le aree urbane che rischiano l’allagamento anche sotto i 90 cm, in particolare per la Basilica di San Marco e Piazza san Marco, mentre Malamocco e Chioggia sono protette da piccole paratoie locali di supporto che stanno fornendo un ottimo servizio complementare per le maree più frequenti.
Non c’è il rischio che il Mose sia un progetto nato vecchio?
I risultati di questi primi mesi ci dicono che non è così. Va detto che se il livello del mare dovesse crescere più rapidamente del previsto forse le dighe mobili potrebbero risultare inefficaci prima dei cento anni previsi dal progetto, ma il valore economico dei danni evitati sarà senz’alto superiore alle previsioni perché avrà bloccato un numero maggiore di allagamenti. Il Mose va inteso come una sorta di assicurazione sottoscritta per guadagnare tempo in vista della prossima sfida di adattamento. Serve uno stimolo per andare avanti, per questo per me Venezia deve essere considerata l’icona mondiale della capacità di adattamento e di resilienza di fronte all’evoluzione del clima e alla subsidenza, portatrice di un metodo secolare e non una delle tante best-practice da esportare.
In cosa è diversa la situazione di Venezia rispetto ad altri casi?
La differenzia la sua storia e il suo valore da mantenere. L’acqua alta del 2019, paragonabile per il livello all’“acqua granda” del 1966, è stata in realtà in parte diversa: quella notte su Venezia si è abbattuta una tempesta di tipo tropicale associata alla marea, con onde mai viste in laguna che hanno determinato la maggior parte dei danni, con vaporetti e motoscafi sollevati e depositati sulle fondamenta.
Il rischio concreto per la città è l’aumento degli allagamenti, determinati dal cambiamento climatico e dalla subsidenza, una minaccia registrata a gennaio anche dalla posizione di Moody’s, che ha legato il rating della città sul credit quality alla sua capacità di difendersi dall’aumento del livello del mare, a mio avviso con una analisi affrettata e superficiale.
Infatti Venezia ha nella sua natura la capacità di adattamento, perché fin dalle origini ha sempre usato le risorse locali e si è difesa in armonia con l’ambiente: ad esempio le dune che difendono il litorale o le piante che stabilizzano il fango della laguna, dando origine al paesaggio meraviglioso delle barene e dei bassi fondali a marea ad elevatissima biodiversità e resilienza.
Già alle origini, i veneziani prima di segnare i canali per la navigazione tracciavano delle linee di prova, le “scomenzere” e poi osservavano se la corrente le avrebbe ricoperte di sedimenti o allargate, creando in quest’ultimo caso i canali di navigazione. La città ha tutte le caratteristiche per inserirsi tra americani e olandesi come città adattiva per eccellenza. Nel concetto di città adattiva rientra anche il rapporto con la popolazione e il contributo che essa può dare…
L’esperienza umana è parte integrante dello sviluppo di una città e la cittadinanza per questo deve sempre essere coinvolta. Forse fino ad ora il progetto del Mose è stato in parte calato dall’alto, ma è giunto il momento in cui i veneziani devono essere coinvolti sui temi del suo impatto, su lavoro e turismo oggi e per il futuro della città e delle prossime generazioni.
È un tema che vale per tutta la produzione di infrastrutture: in Italia l’approccio è in genere quello di un’imposizione, mentre è necessario che i cittadini siano informati, coinvolti in processi che risuonino dal basso, e le istituzioni possano svolgere il proprio ruolo di promotrici con un impatto sociale positivo, farsi portartici di cambiamento condiviso.
Quale futuro quindi per Venezia?
Le grandi crisi sono tipici eventi che possono dar vita a una collaborazione per la crescita comune sulla base di capacità adattive e resilienti. L’approccio può essere quello suggerito dal professor Roberto Poli, con cui abbiamo avuto modo di collaborare, fondatore della start-up Skopia, che da tempo insegna un semplice metodo basato su tre orizzonti, secondo cui partendo dal potere d’interconnessione dell’esperienza passata si possono prospettare e descrivere alcuni scenari futuri attrattivi o repulsivi, per poi tornare al presente e progettare agendo in prospettiva con maggior conoscenza e motivazione.
Da qui nasce, ad esempio, la nostra idea di analisi di un futuro dei trasporti in cui il tempo di percorrenza diventa una opportunità di interconnessione sociale e culturale, con mezzi accoglienti elettrici, luoghi di acclimatazione e lavoro come il porto off-shore per Venezia, un atollo in alto Adriatico con all’interno la nuova città costruita su piattaforme galleggianti, nel punto di confine di Croazia, Slovenia, Italia.
Ma da qui nascono anche idee di più immediata realizzazione che vedono il rilancio del turismo su nuove basi più sostenibili, con trasporti allargati all’esperienza in tutto il territorio della laguna, e con una modalità più inclusiva, con figure che avranno il compito di accogliere chi arriva e di introdurlo nella città facendone conoscere aspetti che delineino la sua fragilità, la sua unicità e il suo valore, così da dare vita a un turismo consapevole e rispettoso, capace di catalizzare il cambiamento intrapreso. Ci sono molte realtà che si stanno già muovendo in questo senso, sarebbe interessante poter interagire in un laboratorio condiviso in cui ognuno porti il proprio contributo di idee ed esperienze.
Fonte: RM News n.73 - Febbraio 2021